I campi della morte
Dialogo, novembre 1995
(NdR) - L’autore, ufficiale dell'esercito italiano nel 1940, visse tutti i drammi della seconda guerra mondiale e, preso prigioniero dai tedeschi nell’isola di Rodi, fu internato nei campi di concentramtento della Germania: Kustrin, Sandbostel, Wietzendorf e Amburgo. In prigionia, per calmare i morsi della fame, scrisse un diario, dal titolo emblematico: “Eros kai thanatos” che, per sua volontà testamentaria, potrà essere pubblicato dopo il centenario della sua nascita, ovvero non prima del 2020.
Il brano che segue, inserito in Appendice, fu scritto attraverso i resoconti che la libera stampa tedesca - non vincolata da servitù inglese e americana - promulgò nei più prestigiosi giornali di Amburgo e, particolarmente, nell'Hamburger Nachrichten Blatt.
Nella copertina del suo diario, il Modica Scala scrisse: “Se penso ai giorni della prigionia in Germania, mi viene in mente un saggio aforisma orientale: perdonare e non dimenticare, è peggio che non perdonare. Io ho una memoria di ferro”.

Probabilmente le statistiche su questi fatti - che gettano una luce sinistra sugli aspetti più turpi dell'animo umano - non verranno mai conosciute con rigorosa precisione. Per il solo campo di Auschwitz, lo stesso Rudolf Hoess, quando rese la sua deposizione al Tribunale di Norimberga, fece la cifra di due milioni e cinquecentomila persone eliminate, senza contare il mezzo milione di vittime morte per fame, di freddo e di malattie.
L’inchiesta svolta dall’Armata Rossa, dopo la liberazione del campo, nel 1945, arrivò a calcolare quattro milioni di morti. Comunque sia, ad Auschwitz morirono non meno di due milioni di ebrei, più le molte centinaia di migliaia di deportati ‘ariani’. È sufficiente dire che, nonostante la perfezione tecnica dei forni crematori, le installazioni non erano sufficienti a far sparire i corpi delle vittime. In periodi di eliminazione accelerata, si rivelarono insufficienti anche le camere a gas, tanto che il comandante del campo fece ricorso alle fucilazioni in massa. Poi, i cadaveri, accumulati nei fossati, venivano bruciati.
Per gli altri quattro campi della morte (Belzec, Treblinka, Sobibor e Chelmo) le vittime raggiunsero un totale di due milioni. Più difficile è calcolare il numero degli ebrei vittime delle "caotiche eliminazioni”, eseguite nella Russia e in Polonia, dagli Einsatzgruppen. La cifra di due milioni, ammessa da Eichmann, al tempo del suo processo, va presumibilmente accettata.
Ma elencare con precisione questi massacri, campo per campo, nazionalità per nazionalità, è impossibile e, comunque, inutile. Secondo le statistiche, su un totale di 9.500.000 ebrei, residenti in Europa, al tempo della seconda guerra mondiale, almeno sei milioni perirono di privazioni o furono massacrati dai nazisti.
Nel 1945, praticamente, non restavano più bambini ebrei al di sotto dei dieci anni. Adolf Eichmann confidò ad uno dei suoi complici che avrebbe riso persino nella tomba, perché il pensiero di avere sulla coscienza la morte di cinque milioni di persone, sarebbe rimasto per lui una straordinaria fonte di gioia.
La 'vita' dei prigionieri, tanto ad Auschwitz quanto a Dachau e agli altri due di Mauthausen e Treblinka, era scientificamente organizzata. Gli uomini e le donne validi erano costretti a lavorare sino allo sfinimento, negli stabilimenti di prodotti chimici o nelle officine che producevano materiale bellico. Moltissimi servivano da cavie per gli esperimenti più raccapriccianti: congelamento, castrazione, inoculazione di tifo, prove di nuovi medicamenti, vivisezione. I vecchi, i bambini e gli ammalati venivano intruppati verso le camere a gas, che costituivano la vera ragione d'essere di questi campi.
In un primo tempo, nel funzionamento delle camere a gas, come testimonia il comandante del campo di Auschwitz Rudolf Hoess, fu notata una certa 'incertezza'. Il problema principale, quello del rendimento, dipendeva dal tipo di gas da usare, per ridurre il tempo delle 'infornate’. Ad Auschwitz arrivarono a gasare seimila vittime al giorno. Hoess aveva confrontato i propri metodi con quelli dei suoi colleghi di altri campi di sterminio e, dopo avere approfondito l'argomento, scelse il gas più efficace.
“Andai a Treblinka - scrisse questo criminale, in una sua relazione - per vedere in qual modo avvenissero le operazioni di eliminazione. Il comandante di quel campo mi disse che aveva eliminato 80.000 prigionieri in sei mesi. Lui si occupava principalmente di ebrei del ghetto di Varsavia, e adoperava l'ossido di carbonio. Eppure il suo metodo non mi sembrò molto efficace. Così che, quando costruii l'edificio per la eliminazione dei prigionieri di Auschwitz, la mia scelta cadde sul "Cyclon B", acido prussico cristallizzato, che immettevamo nella camera di sterminio attraverso una apposita apertura. Secondo le condizioni atmosferiche, bisognava calcolare dai 3 ai 15 minuti perché il gas producesse il suo effetto. In un’altra cosa perfezionammo i metodi di Treblinka: costruimmo camere a gas atte a contenere duemila persone per volta, mentre a Treblinka vi erano camere a gas che non contenevano più di 200 persone l’una.”
Così migliorate, grazie alla vigilanza instancabile del comandante delle S.S. le camere a gas di Auschwitz funzionarono in modo perfetto. Giungendo, nel suo sadismo, a un punto incredibile di raffinatezza, Hoess rese gradevole l’aspetto esterno dei fabbricali nei quali si trovavano le camere a gas, nascondendoli sotto folto fogliame, in mezzo a prati verdi, contornati da bordi fioriti. Sull’ingresso fece apporre una tabella con la scritta rassicurante: “Bagni” .
I nuovi arrivati, fiduciosi, erano accolti da un’orchestra di ragazze, che suonavano musichette allegre. Dopo di che, sempre convinti di dover essere sottoposti ad una disinfestazione, alla fine del viaggio, i prigionieri dei due sessi erano 'pregati' di spogliarsi, prima di entrare nella sala 'docce'. Quando gli sventurati erano stipati nella stanza, la porta si chiudeva ermeticamente. Sopra le loro teste, gli incaricati versavano il Cyclon B nelle bocche d’aerazione.
A questo punto, bisognava aspettare soltanto che il gas compisse il suo compito di morte.

Kurt Gerstein, cristiano convinto e nemico del nazismo, riuscì ad arruolarsi nelle S.S. nel 1941, all'unico scopo di investigare sulle atrocità dei campi di concentramento. Nel 1945 rese una deposizione, da cui è tratto il solo brano che segue: poi, si tolse la vita, nella prigione di Cherche-Midi, a Parigi, dove era stato rinchiuso in attesa del processo.
“Quando arrivai a Belzec, nel mese di agosto del 1942, mi fecero visitare tutti gli impianti. Quel giorno non vidi morti, ma su tutta la zona stagnava un fetore pestilenziale. Faceva molto caldo e ronzavano milioni di mosche. Accanto alla stazioncina a due binari, c’era una grande baracca-spogliatoio, in cui si apriva uno sportello “valori”. Più avanti c'era un locale contenente un centinaio di sedie: il “salone del parrucchiere”. All'esterno c’era un vialetto di betulle, bordato di filo spinato, con un cartello: ”Verso i bagni e le inalazioni”. Di fronte a noi si innalzava una costruzione simile ad uno stabilimento di bagni, con una scala centrale ornata di gerani. Una stella di Davide - burla ironica - sormontava quel tetto. Quel pomeriggio non vidi altro.
Il giorno dopo, poco prima delle sette, mi dissero “Tra dieci minuti arriva il primo treno". Infatti, qualche minuto dopo, arrivò un convoglio da Leopoli: 45 vagoni contenenti 6.700 persone, di cui 1.450 già morte. Dietro i finestrini, protetti da sbarre, si scorgevano i volti dei bambini, terribilmente pallidi e spauriti, gli occhi colmi d’angoscia, e volti di uomini e di donne.
Il treno entrò nella stazione: duecento ucraini spalancarono le porte e, a colpi di frustino, fecero scendere i "passeggeri “.
Un altoparlante impartiva le istruzioni: bisognava togliersi tutti gli indumenti, le protesi dentarie, gli occhiali, tutto insomnia, e consegnare gli oggetti di valore allo sportello, dove non avrebbero avuto in cambio neppure una ricevuta, e legare accuratamente le scarpe, perchè poi fosse più facile ritrovarle in un mucchio alto più di 25 metri. Le donne e le ragazze dovevano andare nel salone del parrucchiere dove, con due sforbiciate, sarebbero stati tagliati loro i capelli.
Dopo, cominciò la marcia. In testa una bellissima ragazza. Percorrevano il vialetto completamente nudi: uomini, donne bambini . Le madri, che si stringono i bambini al petto, salgono sulla rampa che conduce alle camere della morte. Lì vicino, una SS aitante, con voce paternalistica, dice agli infelici: “Non vi succederà niente di male. Una volta dentro, bisogna soltanto respirare a fondo. Serve a fortificare i polmoni e ad evitare malattie.
A quelli che si informano sulla sorte che li attende, risponde: “Naturalmente, gli uomini dovranno lavorare: le donne, invece, si occuperanno della cucina e dei dormitori". Per centinaia di infelici era un ultima speranza, sufficiente per farli proseguire, senza ribellarsi, verso le camere della morte. Madri, con i figli stretti al petto, uomini, donne e bambini, tutti completamente nudi: esitano, ma entrano nelle camere della morte, spinti da quelli che stanno dietro o dalle fruste delle SS. La maggior parte non apre bocca: molti pregano. E io prego con loro. Mi rincantuccio in un angolo e imploro il mio Dio e il loro. Le camere si affollano. I prigionieri sono così ammassati che camminano l’uno sui piedi dell’altro. Sono in sei-settecento, in 25 metri quadrati. Le SS li stringono l’uno contro l'altro, sino ai limiti del possibile. Le porte si chiudono. Nel frattempo, gli altri aspettano fuori, completamente nudi in inverno come in estate.
Il Diesel si mette in moto: tutti questi disgraziati moriranno per i gas di scappamento del motore: tremila persone in 180 metri cubi. Passano 25 minuti. Molti sono già morti. Li vedo da una finestrella: l’interno è richiamato, a tratti, da una lampadina. Dopo 28 minuti, restano vivi ben pochi. Dopo 32 minuti, sono morti tutti.
Simili a colonne di basalto, nelle camere i cadaveri sono ancora in piedi, senza il minimo spazio per inclinarsi o cadere. Anche nella morte si riconoscono le famiglie, che si tengono unite. Si fa fatica a separarle, per preparare le camere al carico successivo. Si spostano i cadaveri bagnati di sudore e di orina, dalle gambe coperte di sterco. Corpi di bambini vendono lanciati in aria: non c’è tempo da perdere. Due dozzine di dentisti si occupano di controllare le bocche, per mezzo di uncini: oro a sinistra; niente oro, a destra. Altri strappano a colpi di martello e di pinze, i denti d’oro e le corone.
I cadaveri nudi, vengono trainati su carretti di legno sino ai fossati, di cento metri per venti per dodici, che si trovano nelle vicinanze. Nel giro di qualche giorno, i corpi si gonfiano, ma poi si afflosciano di nuovo, sicché è possibile gettare su di loro un altro strato di cadaveri; poi, vengono ricoperti con dieci centimetri di sabbia, dalla quale emergono teste e mani.
Tutto quello che ho raccontato risponde a verità. Sono consapevole di fronte a Dio e di fronte all'umanità dell'importanza tragica dei fatti esposti e sono pronto a giurare che niente di quanto ho raccontato è parto della mia fantasia. Tutto è rigorosamente esatto1.

Jules Isaac, eminente storico francese, di origine ebrea, nel suo libro più importante; “Iesus et Israel”, ha apposto una tragica dedica: “A mia moglie e a mia figlia, martiri, uccise dai nazisti di Hitler, per nient'altro perché si chiamavano Isaac”.
Secondo questo storico, protagonista in prima persona del dramma, l'antisemitismo tedesco ha origini religiose. Il suo pensiero non è condiviso da parecchi storici italiani, tra cui Augusto Guerriero, secondo cui l’antisemitismo tedesco ebbe origine dalla stupidità di Hitler e dal suo odio contro la razza ebraica. “Quell’odio - scrive nel suo: "Quaesivi et non inveni" -  fu una follia; e la follia non si connette a niente “.


Giovanni Modica Scala

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1.   Il brano è tratto dal volume di Leon Poliakov e Josef Wulf "Das Dritte Reich und die Juden" pubblicato a Berlino, nel 1559, da Arani Verlag.

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