I conti di ferro
1966/1967 - La contea di Modica nella storia della Sicilia medievale

Cercherò di dare, con questa monografia, a quanti amano un itinerario di sole, un' i­dea meno vaga di questa mia terra che oc­cupa l'estremo lembo sud orientale della Sicilia.
Accennerò al suo passato glorioso e illustrerò come, e in quale misura, la sua storia incise su quella siciliana.
Riterrò di aver fatto cosa non inutile se riuscirò a fare "scoprire", con le mie note, la città di Modica, a qualcuno che di essa conosce soltanto il puntino che occu­pa sulla carta geografica.
O, forse, neppure quello.



Una storia sui Chiaramonte di Sicilia, conti di Modica, non è stata ancora scritta e dubito molto che lo possa essere, voglio dire compiuta, nel prossimo futuro. La difficoltà maggiore è data, fuor di dubbio, dalla mancanza dei documenti originali che costituivano il prezioso archivio della Contea e che fu distrutto, incendiato, durante la sollevazione del 1447.
Non è tuttavia, che manchino altre fonti di ricerca; molti documenti su questa famiglia, tra le più importanti della Sicilia, debbono necessariamente trovarsi presso il Grande Archivio di Stato di Palermo, nei registri della Cancelleria e del Protonotariato, oltre che presso gli archivi dei Comuni che furono soggetti alla signoria dei Chiaramonte.
Ma si tratta di un lavoro improbo di ricerca, cernita, vaglio, trascrizione e composizione - come un grande mosaico, per intenderci - che è possibile solo con l'appassionata e disinteressata collaborazione di un consistente gruppo di studiosi. Un lavoro, quindi, lungo, certosino, irto di ostacoli e scoraggiante, per la resistenza passiva degli organi cui è affidata la custodia dei documenti di storia patria, ma, sul piano teorico dell'impostazione, perfettamente realizzabile. Sul piano pratico, a me - cui non fa difetto il desiderio delle cose impossibili - piacerebbe vivere tanto da vederlo condotto a termine.
Allo stato attuale delle conoscenze, tuttavia, è possibile abbozzare una trama, sia pure rada, della storia dei Chiaramonte e del peso determinante che essi ebbero non solo sullo sviluppo e sulla civiltà della contea di Modica, ma anche sulla storia politica, sociale ed artistica della Sicilia. Una trama che permette di inquadrare, far da cornice ai tre episodi che, un quarto di secolo fa, formarono oggetto di rievocazioni storiche, nell'ambito del Giugno Modicano.

Agli inizi degli anni Sessanta, il professore Giacomo Giacomazzi, per conto dell'Istituto Bibliografico Siciliano di Palermo, curò la pubblicazione di una serie di monografie storiche sui "Paesi di Sicilia". Quando si rivolse a me, su indicazione dell'onorevole Nino Avola, per la stesura di una monografia storica su Modica, fui lieto di accettare un incarico che mi avrebbe permesso di illustrare una delle pagine più interessanti e gloriose della nostra contea.
Vagheggiavo da tempo l'intenzione di scrivere qualcosa su alcune figure eccezionali della nostra storia medievale, del Trecento e del Quattrocento, che non avevano nulla da invidiare ai grandi condottieri del Continente, per audacia, per valore e per spirito di avventura.
Giovanni Chiaramonte, Manfredi Chiaramonte e Bernardo Cabrera, conti di Modica ed esponenti di primo piano nella storia di Sicilia, erano ignoti al grande pubblico nazionale, regionale e municipale. A Modica, allora come ora, neppure una lapide toponomastica ricorda i loro nomi, malgrado la loro eccezionale statura, non inferiore di certo a quella dei celebrati capitani di ventura dello stesso periodo storico: Pandolfo Malatesta, Erasmo da Narni, detto Gattamelata. Alberico da Barbiano, Bartolomeo Colleoni, Braccio da Montone e Castruccio Castracani.
Materiale bibliografico ce n'era in abbondanza; mi riferisco, in particolare, a Raffaele Solarino - l'ancora insuperato storico della nostra contea - ma, oltre che narrare le gesta dei protagonisti, in una fredda e arida esposizione del fatto storico, volevo scavare, sulla base delle loro azioni, nella personalità intima di ognuno di loro, nei sentimenti e nelle passioni che li avevano agitati. Mi appassionavano, sopratutto, le vicende di Giovanni e di Manfredi Chiaramonte, di Bianca di Navarra e di Bernardo Cabrera, per il loro aspetto umano, oltre che romanzesco.
Sui Chiaramonte specialmente, in una monografia loro intitolata, volevo soffermarmi anche sul contributo che diedero all' arte siciliana del Trecento, in uno stile detto, appunto, chiaramontano, sulla testimonianza dei numerosi monumenti che resistono ancora all'inclemenza del tempo: chiese, palazzi, conventi, fortezze e castelli, sparsi un po' in tutta la Sicilia. Volevo...
Ma sto uscendo dal seminato. Se mi resta tempo, ritornerò sull'argomento, e con ben altro impegno; ora, interessa la genesi di questo modesto, modestissimo lavoretto, da considerare alla stregua di un semplice canovaccio per un lavoro più serio e documentato. E, proprio allo stato di canovaccio, mi pervenne la richiesta del Giacomazzi. Solo che mi rifiutai di aggiungere alla storia, a guisa di conclusione, la dettagliata e retorica esposizione dello stato economico, industriale, artigianale ed agricolo degli anni Sessanta. Dice: le monografie vanno dappertutto, alla attenzione degli storici, degli economisti, dei filosofi e dei turisti; è necessario, pertanto, dare rilievo allo stato attuale del progresso raggiunto dalle città siciliane, nel quadro della rinascita promossa dalla Regione Siciliana.
Forse, aveva ragione il professore, ma mi ripugnava l'idea di esporre qualcosa in cui non credevo. Fu così che rimanemmo tutti e due ancorati nelle nostre posizioni: io non ebbi la prestigiosa occasione di pubblicizzare la mia firma, e la Collana non ebbe quella di pubblicare una monografia su Modica.
Qualche anno più tardi - il manoscritto era relegato nel fondo di un cassetto -, il professore Raunisi, che della storia era al corrente, mi chiese il permesso di leggerlo; permesso che gli accordai volentieri per i rapporti di cordialissima stima e di amicizia che ci legavano. Vero scopo della richiesta, come ebbi modo di rendermi conto, era quello di riempire la terza pagina del giornale che dirigeva: "Voce libera". E, in una ventina di puntate, tra il 1966 e il 1967, diede fondo a quello che era ed è un canovaccio, a livello di promemoria.
Il giornale, a quanto lui stesso ebbe a riferirmi, raddoppiò le vendite; non solo, ma da più parti gli era stata fatta la richiesta di farne una pubblicazione in volume; cosa alla quale mi rifiutai di dare la mia autorizzazione. Lo autorizzai, invece, a pubblicare in volume “La grande alluvione” che, nello stesso giornale, era uscita a puntate.
Per tornare a “I conti di ferro”, la serie era stata letta anche dal professore Saverio Terranova, allora sindaco di Modica, oltre che mio amico. L'argomento gli era piaciuto e vi aveva trovato gli spunti per alcune rievocazioni storiche, da inserire nel programma dei festeggiamenti del giugno modicano 1967.
La rievocazione, ovviamente, non poteva limitarsi ad una lettura soltanto del testo; era necessario anche farne oggetto di una esposizione drammatica, con tanto di personaggi in costume dell'epoca, con dialoghi e musiche e quanto altro serviva per dare al tutto una impostazione scenica.
Diedi vita, in nottate insonni, a Giovanni e ad Andrea Chiaramonte; Saverio Terranova si riservò il compito di illustrare il Convegno di Castronovo e la figura di Manfredi Chiaramonte. Sempre di notte, a casa mia, quando il rumore esterno non dava più fastidio alla registrazione dei brani, mi fornirono la voce: guerriera o drammatica di Claudio Amore, per Giovanni, Manfredi e Andrea Chiaramonte; stridula e sgradevole di Giovanni Iozzia, per Bernardo Cabrera ed Enrico Rosso; piatta e monotona di Carmelo Assenza, per Manfredi Alagona; dolcissima e appassionata di mia figlia Enza, per la regina Eleonora.
Ditte specializzate romane, fornitrici di case cinematografiche, ci affittarono, a prezzi iperbolici, vestimenta medievali per dame e cavalieri, corazze, spade, scudi, alabarde, elmi e calzature. Tra gli studenti, che accorsero in massa, scegliemmo i giovani più alti e robusti, e le ragazze più belle. Il maneggio di Ragusa ci fornì una dozzina di cavalli, con altrettanti istruttori, che vestimmo da palafrenieri. Una ditta di Francofonte realizzò in piazza Matteotti un impianto di diffusione sonora da quattromila watt, sfruttati più per la musicalità che per la potenza. Duccio Belgiorno ideò e realizzò una costruzione d'epoca che servi a dare l'idea, in tre distinte fasi, del castello di Modica, dello Steri di Palermo e della fortezza di Castronovo.
Alle manifestazioni, che si svolsero nei due giorni precedenti la festa di S.Pietro, accorse una folla enorme, da fare impallidire quella che si accalca in piazza Municipio, in occasione della Madonna vasa vasa; insomma, un vero successo di pubblico e di critica…

Un'avvertenza è obbligatoria. Nell‘adattamento scenico, gli interventi dei personaggi - pur rispettando la realtà storica - sono puramente immaginari; sono cioè quali possano attribuirsi ai singoli, sulla base del loro carattere e dei loro sentimenti, emergenti dalle loro azioni.
Ognuno dei tre episodi era preceduto da un prologo e da un epilogo, come letti da un menestrello fuori tempo; l'uno e l'altro, tratti dalla mia monografia, per inquadrare l'azione nel contesto storico in cui si svolgeva. Li riporto nella loro integrità, pur rappresentando dei doppioni, per la loro corrispondenza alla registrazione magnetica che riproduce la stesura scenica.


Galleria fotografica (di Tony Bracchitta)

Per ascoltare le rievocazioni storiche
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