I cavernicoli del Duemila
La grande alluvione (ed. 2004), pp. 182-183
Il progresso ha mutato il volto del mondo e la civiltà ha dato una nuova coscienza all'umanità, non sappiamo ancora se in meglio o in peggio. La popolazione di Modica è diminuita; gli spigolatori hanno rinunziato al secolare esodo in cerca di spighe, per emigrare in terre dove il lavoro non sia soltanto sudore e sangue; migliaia di appartamenti sono sorti sulle alture dove c'è posto ed aria e luce; piccoli grattacieli, a forza di gomiti, si sono imposti alle catapecchie della valle ed alla Sovrintendenza ai Monumenti; ma il Vauso rimane immutato ed immutabile, nel tempo.
Ai suoi piedi, l'alveo è imbavagliato dal cemento; il grigio biancastro delle sue rocce è picchiettato dal rosso dei gerani e le antenne della televisione raccolgono i messaggi dello spazio ed i gemiti del vento. Dietro le variopinte facciate di mattoni forati, fragili come quinte di cartapesta, al di là delle vaporose tendine delle finestre, schermo pudico all'indiscrezione dei passanti, c'è ancora la grotta dalle sette vite che intristisce, con il suo buio, il sorriso dei bimbi, che torce e deforma, con l'umidità stillante dalle sue pareti, le ossa degli adulti, che annebbia, con la presenza invisibile di mille esistenze scomparse, la mente di tutti.
I responsabili siamo noi che non abbiamo trovato il sistema di porre fine al fenomeno. Abbiamo quello che meritiamo. Il miserabile a cui lo Stato, la Regione o il Comune, dà un alloggio da uomini, lascia la grotta per venderla ad un altro, più miserabile di lui.
Sono migliaia le famiglie che si sono liberate dal complesso dell'antro, eppure le caverne sono sempre abitate. Non c'è più la promiscuità di un tempo perché il mulo è stato sostituito dal motore ed al tanfo del concime si è sostituito il puzzo della benzina; solo gli uomini sono stati sostituiti da altri uomini. Le grotte, ad ogni assegnazione di case, hanno creato nuovi miserabili a caccia di case.


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