Ordinamento economico e finanziario della Contea di Modica
Secoli XVI e XVII
Modica, 1972
A fare della Contea di Modica il feudo più esteso, più ricco e più potente della Sicilia, furono i Chiaramonte, verso la metà del Trecento. Da allora, per il mezzo millennio successivo, appartenne sempre alle famiglie più nobili del Regno, con qualche brevissima parentesi di appartenenza al Demanio. La sua storia, quindi, è quasi totalmente feudale, come i suoi costumi, le sue leggi, le sue consuetudini.
Ma se la sua storia, intesa come esposizione di avvenimenti politici, fa parte integrante della più ampia storia siciliana, per averne influenzato e modificato più volte il corso, non altrettanto può dirsi della sua storia economica, giuridica ed amministrativa.
I Governatori della Contea, a fine mandato, arricchivano i loro archivi di famiglia con i documenti pubblici relativi al periodo della loro carica; le suddivisioni ereditarie li sparpagliarono come foglie ed il più andò distrutto o per ignoranza del suo valore o per la micidiale azione del tempo.
Gli archivi delle Università che componevano lo Stato di Modica, ad eccezione di quello di Alcamo, non riuscirono a mantenere integro il prezioso bagaglio di atti, deliberazioni, bandi, statuti e privilegi che costituiscono il patrimonio storico e culturale di ogni Comune. Funzionari poco onesti spigolarono tra i fogli di cartapecora per trarne diplomi da incorniciare o per mutilare atti e pergamene dei timbri a secco o in ceralacca. L'ignavia degli amministratori comunali relegò in cantine umide o in solai polverosi i ponderosi volumi (che, per una assurda disposizione di metà Settecento, raccoglievano alla rinfusa centinaia di documenti, diversi per oggetto e per epoca), condannandoli all'insidia della muffa o alla voracità delle tarme.
L'archivio di Stato, sezione di Modica, conserva attualmente una massa inerte di carta scritta a mano priva, per la maggior parte, di valore: atti notarili comunali, rendiconti finanziari parziali, bandi su temi di importanza marginale che si ripetono con stucchevole monotonia. Pochissime le carte di valore e queste poche soggette ad una consultazione talmente oppressa da pastoie burocratiche da scoraggiare ogni serio proponimento di studio organico e razionale; vanno così perduti i miseri resti degli atti comitali e dell'Università modicana scampati ad una furia analogicamente iconoclasta.
L'Archivio Notarile di Modica ha dimenticato, addirittura, di avere nei suoi scaffali polverosi, centinaia di volumi della Gran Corte; a memoria d'uomo, nessuno mai vi ha posato gli occhi. Quando lo Stato si deciderà a prenderne coscienza, purtroppo sarà troppo tardi. Le carte preziose sono ridotte a strati informi di cellulosa compressa in bare di cartone pergamenato e tentare soltanto di separare i fogli fragilissimi è compito impossibile, incollati come sono, ancora, dalle acque fangose della tremenda alluvione del 1902.
Quello che fu l'archivio dell'onorevole Giardina finì, a sacchi, nelle botteghe dei rivenditori, per involtare sarde, o nei laboratori di falegnameria, per impiallacciare strati sottili di cattiva noce. Di quel prezioso materiale, ebbi la sorte di comprarne un sacco, a trenta lire il chilo, da Frontiglione buonanima, ed un altro da mastro Ricca, prima che emigrasse in Argentina.
Qualcosa ancora, seppure poco, si trova confusa tra le carte private dei nobili, i cui avi rivestirono cariche pubbliche. Ma ottenerle in prestito presenta delle difficoltà pressocchè insormontabili; gioca la paura di perdere delle carte preziose che, più che una testimonianza di furto, rappresentano per questi tardi epigoni, un titolo di anziana aristocrazia ed una prova tangibile dell'importanza tribale. Ciò non toglie nulla alla riconoscenza che dobbiamo a chi ci ha messo a disposizione dei fogli quasi illegibili per la rozza paleografia e per l'azione corrosiva dell'acido tannico. Nel buio assoluto di ogni informazione, rappresentano una sottile lama di luce su un periodo che, con tutte le manchevolezze imputabili al medio evo, rappresentò la prima, incerta e rudimentale esperienza legislativa che, modesta tessera di un ampio mosaico, sta alla base del diritto moderno. Nella fatica affrontata non ci è stata di guida la presenza di lavori similari di ricerca; nel campo del diritto medievale siciliano, mentre sono numerose le monografie sui possedimenti demaniali, non esiste studio alcuno specifico sulle università feudali o baronali che dir si vogliano. (1)
Degli 85 comuni appartenenti alla Regia Corona, agli inizi del Seicento, la maggior parte è stata illustrata ampiamente negli aspetti giuridici ed economici. Si possono citare ad esempio i pregevolissimi lavori di Starrabba, Tirrito, Di Giovanni, La Mantia e tanti altri, su grandi e piccoli comuni demaniali: Palermo, Messina, Catania e Patti, Polizzi, Castronovo e via di seguito. Ma sull'amministrazione delle Università feudali, nulla, assolutamente nulla. Per cui il lavoro presente, oltre che essere il primo ad affrontare il campo chiuso della legislazione economica e finanziaria sotto l'imperio quasi sovrano del Conte di Modica, si basa quasi esclusivamente sullo studio di documenti inediti, per la maggior parte, e sulle osservazioni, confronti, rilievi ed analogie che dall'esame di essi scaturiscono.
La considerazione delle accennate molteplici difficoltà cui siamo andati incontro nella stesura di questo saggio, sia di giustificazione alle inevitabili incertezze e lacune che, ad una ricerca più attenta e fortunata, seppure futura, presenterà questo modesto contributo alla storia economica della vecchia, gloriosa Contea.

Giovanni Modica Scala
Modica, gennaio 1972


(1) “Caltanissetta feudale” di A. Li Vecchi – Ed. Sciascia – Caltanissetta – Roma, uscirà nel 1975
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