Le comunità ebraiche nella contea di Modica
Ed. Setim, Modica, 1978
Il documento pubblicato nelle pagine che seguono era contenuto, originariamente, in uno dei tanti volumi zeppi di atti della contea; e chi lo possedeva era ben cosciente del suo valore. Non potendolo acquistare, ottenni il permesso di fotografarlo; realizzai tre copie di esso, in altrettante strisce di mi­crofilm, e di due di esse feci omaggio amichevole al professore Ajello, docente di Fonti del Diritto Italiano all'Università di Catania, ed al professore Enzo Sipione, docente di Storia Medievale nello stesso Ate­neo. Quest'ultimo, però, non si ritenne soddisfatto d'avere soltanto il negativo fotografico e non si arrese alle difficoltà finanziarie; messo da me sulle tracce del possessore del documento (non posso, ovviamente, chiamarlo proprietario), riuscì ad acquistarlo; ed oggi è in salvo, uno tra i tanti che possiede il mio ottimo amico.
Il documento tratta di un processo per omicidio, celebrato presso il Tribunale di Gran Corte della contea di Modica, nel 1471. Vittima, assassino e presunto mandante sono ebrei; ugualmente ebrei, la maggior parte dei testimoni. A parte il lato umano e sociale del dramma, il lungo procedimento giudiziario mette in evidenza particolari aspetti politici e sociali di quel mondo giudaico che, pur etnicamente alieno, per parecchi secoli fu parte integrante della contea e sottoposto - rara eccezione per i servi della regia Camera - alla giurisdizione del conte di Modica.
Fornisce, inoltre, una vasta serie di dati, attraverso la cui elaborazione è possibile rilevare i caratteri peculiari di una comunità ebraica, nella sua dinamica amministrativa, commerciale, religiosa e giudiziaria, notizie ed indicazioni topografiche preziosissime, ai fini di una efficace e fedele ricostruzione ambientale della giudaica di Ragusa, e importanti informazioni in grado di chiarire parecchi punti controver­si del diritto siculo, in materia di procedura penale e di privilegi feudali
.
I documenti raccolti dai fratelli Lagumina, nel Codice Diploma­tico dei Giudei di Sicilia, forniscono un solo e limitatissimo aspetto della vita degli ebrei siciliani, quello cioé dei loro rapporti ufficiali con il governo, risultanti, per la maggior parte, dai registri della Cancelle­ria e del Protonotariato; e, in minor misura, dai documenti tratti dai registri dei Notai Defunti, della Conservatoria di Registro, della Came­ra Regionale e della Segrezia di Palermo. Gli stessi Autori non si il­lusero di aver pubblicato un'opera completa sull'argomento, tanto da ripromettersi l'improba fatica di estendere le ricerche, oltre che alle Lettere viceregie ed ai registri della Tesoreria, agli Archivi Comunali ed a quelli notarili dei diversi comuni della Sicilia intera.
Questo mio lavoro è quasi una risposta al loro invito, a quanti si occupano di storia patria, di cercare e pubblicare tutti i documenti relativi ai Giudei «ché pubblicati o meno, entreranno nel Codice Diplomatico, sendo questo il solo mezzo, coll'aiuto di tanti, di potersi quandochessia scrivere una storia dei Giudei di Sicilia».

Io ho motivo di ritenere che quello da me fortuitamente rintrac­ciato sia un documento unico nel suo genere e che presenti, inoltre, caratteristiche nettamente diverse dai documenti sugli Ebrei, editi sino ad ora; un documento che, oltre a catalizzare l'interesse degli storici su un particolare episodio del nostro medioevo, stabilisce rapporti e differenze con la complessa legislazione ebraica siciliana che non costituiva un unico corpus con efficacia generale, ma risultava diversa territorialmente. Cioé a dire - una considerazione che, sfuggita al Di Giovanni, ebbero a fare i Lagumina - le comunità giudaiche siciliane avevano una propria esistenza giuridica, ognuna indipendente dall'altra, con i «suoi capitoli, privilegi e consuetudini, con angherie e pesi particolari». Allo stato attuale delle ricerche, composta com'è da cento pezzi sparsi, una vera ed organica storia degli Ebrei di Sicilia, manca; neppure sono state prese in esame tutte quelle notizie storiche che su certi fenomeni, ebrei per destinazione - come quello dell'usura, per esempio - avrebbero potuto illuminare di luce diversa una realtà guardata, per convenienza, da un solo punto di vista.
(…)

Un'opera completa, ripetiamo, una storia unica sugli Ebrei di Sicilia, manca, seppure non siano rare le monografie che - alla luce di nuovi documenti - illustrano particolari aspetti della loro lunga permanenza nelle diverse città del Regno. E anche quando venissero recuperati tutti gli atti che rappresentarono la méta, ultima e non raggiunta, dei fratelli Lagumina, non sarebbe certamente una facile impresa quella di fondere, in una storia unica e completa, le vicissitudini di una sessantina di giudaiche siciliane che si presentano, ognuna, con una fisionomia politica diversa, con diritti e doveri nascenti da capitoli e privilegi differenti, frutto di autonome relazioni commerciali tra l'eterno e disperato bisogno del sovrano e la generosa comprensione delle comunità giudaiche, nell'endemica necessità di protezione.
Materiale documentaristico, allo stato attuale, ce n'è parecchio; ma, oltreché smembrato e non organicamente fuso in un panorama d'insieme, non è tanto da permettere la realizzazione di una storia definitiva sugli Ebrei di Sicilia. L'opera di maggiore impegno ed interesse, l'abbiamo rilevato, è certamente il Codice Lagumina, seguita a notevole distanza da quella, piuttosto settaria, del Di Giovanni. (…)
Studi particolari sugli ebrei della Contea, poi, non sono stati condotti da nessuno dei molti storici che hanno scritto su Modica; l'argo­mento è stato sfiorato solo in dipendenza dell'eccidio del 1474, da qual­cuno di essi, e la somma di tutte queste notazioni potrebbe riempire a stento qualche paginetta soltanto, e non scevra di errori, per di più.
Per quanto non accennato in questa sede, rimando alla bibliografia che ho cercato di rendere il più possibile completa.


Reputo necessario, oltre che doveroso, spendere qualche parola sul mio lavoro e sullo spirito che lo anima. Si noteranno, a tratti, una certa durezza critica su alcune opere del passato, e sui loro autori, e qualche puntualizzazione condotta, forse, con fastidiosa scrupolosità. A parte la forma, caratteristica e limite del mio modo d'espressione, mi ha mosso l'impegno di ridimensionare una critica ingiusta, di controbattere un giudizio settario, di ristabilire una verità storica distorta, di smentire episodi e circostanze di comodo o, soltanto, di rettificare un dato inesatto. Temo che, in qualche punto, la passione mi abbia preso la mano ed abbia fatto velo ad una serena e distaccata valutazione degli errori e delle inesattezze altrui - e, più ancora, delle diversità di opinione o di pensiero - facendo degenerare in censura quello che poteva essere un semplice appunto. In ogni caso, però, la precisazione, o altro che sia, non vuole es­sere presuntuosa pedanteria, diretta ai tanti maestri di storia, nei cui confronti mi reputo appena un apprendista; ed il tono, a volte polemico, non ha lo scopo di ostentare una superiorità che è ben lontana dal­l'essere, oltre che fuori delle mie intenzioni. Un avvertimento, infine. L'uso del termine «cristiano», in con­trapposizione al termine «ebreo», o viceversa, non ha senso dispregia­tivo o significato religioso; esso è imposto esclusivamente da ragioni di chiarezza, per una immediata comprensione, nell'unico valore di attributo etnico.


Io non ho inteso costruire, con l'unico documento che ho in mano, una storia apologetica degli ebrei di Modica; semmai, mi sarebbe stato più facile il contrario, dato che gli atti del processo mostrano una co­munità ebraica sotto luci sinistre, nella fragilità delle sue istituzioni e dei suoi associati, agitata dalla feroce passione del potere, sconvolta da odi e gelosie, impastata di menzogne e di calunnie.
Illustrando una pa­gina di miserie e di bassezze umane, ho voluto invece creare come una premessa alla storia di un tragico ventennio che interessò non più una singola comunità ebraica, ma tutto un popolo di diseredati «senza pa­tria e senza Dio». E dimostrare, con una analisi il più possibile attenta ed obiettiva, che il torto - come quasi sempre - fu dalla parte del più forte; e che le stesse debolezze, gli errori e i difetti che si imputavano agli ebrei, costituivano un retaggio comune ai cristiani, perché in definitiva unico era il tempo e comune l'ambiente.
Per ottenere questo risultato, non è stato necessario ricorrere a forzature, svisare i fatti o trarre dalla storia solo quei fattori di sostegno alla tesi che volevo dimostrare. Ho cercato di trattare l'argomen­to in modo assolutamente distaccato, dimenticando le differenze di religione, di razza e di cultura, e accantonando il preconcetto e l'orgoglio di appartenere, per una origine senza merito, all'altra sponda etnica. Ebrei o cristiani, serniti o ariani, eletti o meno, la storia va riguardata nella sua nuda realtà che non può avere che un unico significato ed una sola morale. Ho tentato, sulla base dei documenti noti ed alla luce di questo inedito, di ricostruire «una vita ebraica vera, senza preconcetti, senza martiri, senza ostilità, che ci insegni finalmente che cosa rappresentò per due secoli la minoranza ebraica in mezzo ai Siciliani ... una minoranza che in certi momenti ed in certi luoghi sembra abbia avuto la funzione del lievito».

La storia è sempre un dar forma al passato, il tentativo di sco­prirne un senso e di darne una interpretazione; gli avvenimenti illu­strati nella seconda parte di questo volume, sono stati visti per il pas­sato da visuali diverse, a volte in antitesi, e le storie che se ne sono tratte si presentano con aspetti diversi. Ognuno si rende conto del passato secondo le unità di misura che gli sono offerte dalla sua educazione e dalla sua particolare inclinazione; io, pur convinto come sono di aver tenuto, nei confronti di questa materia storica, una posizione non deterministica, non posso nascondere la mia naturale, spontanea e prepotente, simpatia per il più debole, per il vinto.
Ciò non vuol dire che io abbia scientemente alterata la verità sto­rica o che mi sia lasciato tentare da facili distorsioni partigiane. Ma ser­ve a giustificare, semmai, qualche aspro commento nei confronti di una società che di cristiano aveva solo il nome e non anche l'essenza
; una società che, «inconscio strumento dell'ira divina», vendicò a suo modo il delitto di Giuda, creando - sulla scorta di una tradizione superstiziosa e menzognera - una mentalità fatta di odio e di fanatismo, che trovò sfogo naturale nelle periodiche persecuzioni del basso medioevo e motivò quella lunga serie di orrori senza nome, quel lento calvario secolare che forse non ha avuto termine nei campi di sterminio dove - tra le innumerevoli vittime della ferocia nazista - una ce n'era che avevo conosciuta ed amata tra le mura amiche della «città murata» di Rodi, condannata a bruciare nel forno crematorio, quasi sotto i miei occhi la sua innocente, inerme giovinezza.


Giovanni Modica Scala

Modica, novembre 1977
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