Amburgo
31 maggio 1945
Non è facile riassumere tutti gli avvenimenti, di ogni ordine e grado di importanza, che si sono susseguiti in quest'ultimo mese. Anche scrivere ha perso molto della sua passata attrattiva e, mi spiace riconoscerlo, questa demotivazione è, in gran parte, conseguenza della riacquistata libertà. Non sono più un kriegsgefangenen, non sono più un "libero" lavoratore, al soldo del nemico, non sono più costretto a nascondermi per sfuggire alla caccia della polizia militare.

  Scrivere, confessando emozioni e sentimenti, aveva il fascino del proibito; ogni perquisizione che avesse portato alla scoperta dei miei appunti, rappresentava un pericolo reale, un pericolo grave oltre ogni immaginazione. Oggi, niente più di tutto questo: posso scrivere quello che voglio, imprecare, maledire, sfogare il mio odio contro chi mi ha rubato quasi due anni di giovinezza, esprimere la mia condanna all'inferno contro chi ha partecipato al lavacro di sangue più mostruoso che l'intera storia dell'umanità ricordi.

  Posso, potrei, ma non ne ho voglia; ci saranno storici, a centinaia, che si contenderanno il privilegio di analizzare, vivisezionare cause ed effetti di questa guerra micidiale; ci saranno, a migliaia, ex prigionieri che avvertiranno l'esigenza insopprimibile di comunicare, al colto e all'inclita, la storia delle personali tribolazioni, come se un granellino di sabbia ritenesse di poter potenziare la dimensione dell'Everest.

  Che scopo si propone, allora, questo mio diario? Nessuno. Proprio nessuno. Non certo quelli di farlo leggere ad altri, perché i casi sono due. O si è stati prigionieri, come me, vittima della fame, del freddo e di altre cento privazioni, e il racconto della mia odissea non aggiungerebbe nulla alla personale esperienza di innumerevoli altri superstiti. Oppure si ha avuto la fortuna di nascere o di vivere fuori da quest'incubo mondiale; e, in questo caso, neppure la penna di un grande della letteratura potrebbe dare un'idea di che cosa sia la privazione della libertà, la sofferenza elevata a regola di vita, l'umiliazione di sentirsi nessuno, la paura della morte.

  Tanto varrebbe, allora, bruciare questi appunti? Ma nient'affatto, neppure per idea. Sarebbe la cosa più stupida che mente razionale possa concepire; sarebbe come distruggere due anni della mia vita, nelle sue gioie, nei suoi dolori, nei suoi ricordi; un vuoto oscuro tra quello che sono stato e quello che sarò. Il diario mi è stato compagno fedele: mi ha aiutato a sopravvivere, ha fatto riaffiorare alla coscienza avventure e sentimenti che diversamente sarebbero sfuggiti per sempre dalla mia memoria, mi ha dato l'opportunità di sfogare la mia amarezza, impedendomi forse di commettere una pazzia.
Distruggerlo avrebbe il sapore di un tradimento, perpetrato ai danni di un amico che non ti serve più. No, che non lo distruggerò. anche se non rileggerò mai più le sue pagine; o, forse, chissa? Con il tempo potrà avere per me l'importanza di una lettera d'amore ridotta ad un foglio ingiallito, il valore di una violetta schiacciata tra le pagine di un libro...
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