Storia, Amore e Filosofia
Guglielmo il Conquistatore, Abelardo ed Eloisa
Ed. numerata, Modica, 1992
I due saggi che seguono fanno parte dell'Appendice al primo volume (in elaborazione) de “La Sicilia, dal regno al viceregno”; e non mi sarei sognato di farne oggetto di trattazione a parte, se le voci del sangue non avessero insistito a leggere in anteprima due delle pagine di storia, più ricche di fascino umano. Per inquadrare, tuttavia, le due appendici nel contesto storico da cui traggono origine, è necessario tracciare due sintetiche premesse.

La storia di Guglielmo - duca di Normandia e non ancora il Conquistatore dell'Inghilterra - trae motivo dalla sua iniziale opposizione al matrimonio di Ruggero d'Altavilla, non ancora gran conte di Sicilia, con la fanciulla del cuore: Giuditta d'Evreux. Ruggero e Giuditta si erano scambiata reciproca promessa di eterno amore quando lei giovanissima educanda, era nel monastero di Saint Evroul, affidata alla tutela del fratello uterino, abate Roberto di Grantmesnil.
È chiaro che quando lo venne a sapere, il duca Guglielmo montò su tutte le furie; era assolutamente inconcepibile, per lui, che la figlia di suo cugino, appartenente alla più alta aristocrazia normanna, sposasse un povero spiantato, mezzo plebeo, figlio di un oscuro valvassore di provincia. In quel tempo, quasi non ci si faceva caso, ma niente toglieva a Ruggero il diritto di rinfacciare a Guglielmo la sua nascita illegittima; il futuro Conquistatore, infatti, era il bastardo di Roberto I, duca di Normandia.
A nulla valsero le preghiere di Giuditta, per la quale Ruggero impersonava l'ideale principe azzurro. A ventisei anni, quando aveva deciso di tentare la fortuna in Italia, l’ultimogenito di Tancredi d’Altavilla, era un giovane bellissimo, di alta statura, con un corpo di armoniose proporzioni, dotato di grande forza fisica, valore e coraggio, oltre al resto di cui ci dà atto il suo biografo Goffredo Malaterra.
Migliore risultato non ottenne l'intervento dell'abate Roberto, in favore della sua pupilla. Fu così che, intorno alla fine del 1059 o nei primi mesi del 1060, dopo una lite violentissima con l'irriducibile duca Guglielmo, l’alto prelato prese con sé la fanciulla e, seguito da un gruppo di monaci a lui fedeli, varcò le Alpi e raggiunse Roma. Pare che, durante la sua permanenza in Vaticano, abbia cercato di interessare il pontefice Niccolò II a fare da intermediario con il potente duca, in un tentativo di accordo. Le fonti non sono molto chiare al riguardo; ma se la comitiva fuggiasca decise di proseguire il suo viaggio verso il Sud, nei territori soggetti a Roberto il Guiscardo, dobbiamo ritenere che il papa abbia ricusato di inimicarsi il potente duca, perorando la causa di Giuditta o che, effettuato qualche tentativo, ne abbia ricevuto un netto rifiuto.
Dal Guiscardo, l’abate Roberto ottenne la fondazione di una abazia di rito latino a Santa Eufemia, e Giuditta una ospitalità degna del suo rango e, forse, una efficace intromissione nella sua vertenza sentimentale. Pare, infatti, che il duca Guglielmo - reso edotto dalle gloriose imprese di Ruggero, che gli avevano acquistato fama europea e notevoli porzioni di territorio in Calabria e in Sicilia - si fosse finalmente deciso a mettere da parte l'orgoglio di casta ed a concedere il sospirato consenso alle nozze.
A questo punto, cessa l'intromissione di Guglielmo nella vicenda amorosa di Ruggero e Giuditta; ma il lettore, giustamente, ha il diritto di pretendere l'epilogo della storia, e noi non abbiamo il diritto di deluderlo.
A mezzo di corrieri, forniti dal Guiscardo, Giuditta si affrettò ad informare Ruggero, nella sua roccaforte di Traina, della sua ansia di riabbracciarlo, per coronare il loro contrastato sogno amore. Dire della felicità di Ruggero, nell'apprendere la notizia, è impossibile; io penso che abbia fatto tripli salti mortali per la gioia e che abbia urlato frasi sconnesse, battendosi il petto con i pugni.
Il casto Malaterra sorvola sui particolari del momento e su quelli successivi; a noi preme rilevare che il matrimonio di Ruggero con Giuditta fu dettato esclusivamente dall'amore e dalla passione. Ruggero volò letteralmente in Calabria, prese Giuditta tra le braccia, la trascinò esultante a Mileto, sua capitale, e qui, nel suono festante delle campane e le melodie sacre eseguite dai monaci di Saint Evroul, celebrò e consumò il matrimonio.
La storia romantica di Ruggero e Giuditta, ci ha portati a scrivere di Guglielmo; e di lui continueremo a trattare, nella prima appendice, per le vicende che da duca di Normandia, lo portarono a cingere la corona d'Inghilterra.


Letteralmente diversa dalla storia guerresca di Guglielmo, fatta di invasioni e battaglie, di morte e distruzioni, è la storia d'amore di Abelardo ed Eloisa. Anche per questa seconda appendice, dobbiamo risalire alle fonti che ci hanno indotto ad occuparci della triste vicenda dei due tragici amanti.
Come Ruggero e Giuditta ci hanno portato a Guglielmo il Conquistatore, così Bernardo di Chiaravalle (Clairvaux, un piccolo villaggio della Francia nord orientale) ci porta ad Abelardo ed Eloisa. Ma, prima di entrare nel vivo della loro avventura umana, non è affatto superfluo delineare il carattere di questo singolare personaggio storico che, alla politica, deve la sua aureola di santo.
A partire dal 1123, e per i successivi trent'anni - sino cioè alla sua morte - “la cristianità fu scossa nel profondo dalla sua parola: irresistibile e riecheggiata sino ai confini del mondo di allora ... Incessante, pungolante aggressione: contro i monaci di Cluny, contro un papa malamente eletto, per un papa ch'egli giudicava migliore e che fece trionfare... Contro gli eretici di Francia, contro i cavalieri che non contribuivano alla liberazione del Santo Sepolcro, contro Arnaldo da Brescia - che predicava, come lui, la povertà, ma su un altro tono, più sovversivo - e che l'abate di Chiaravalle perseguitò dovunque con le due denunce, senza tregua. Contro le tentazioni di potenza della Curia romana, contro i vescovi troppo sfarzosi. Contro tutti e contro tutto. Bernardo fu un combattente duro, tutto irto di zanne e di veemenza, un uomo d'azione, di prodezza, nella lotta contro Satana, contro tutto ciò che gli resisteva (1)”.
Il futuro santo fu senz'altro la potenza spirituale più grande dell'Europa medievale. “Per un osservatore obiettivo del ventesimo secolo, al riparo di quello straordinario magnetismo personale che gli permetteva di dominare senza sforzo tutti coloro con cui veniva a contatto, san Bernardo non è una figura simpatica. Alto e macilento, i lineamenti segnati da una espressione di sofferenza continua, dovuta alle esagerate privazioni fisiche cui si era sottoposto tutta una vita, egli appariva consumato da un ardente zelo religioso che non dava adito nè alla tolleranza, nè alla moderazione. Oltralpe, l’abate di Chiaravalle tuonava da ogni pulpito contro il papa scismatico di Roma e contro il re di Sicilia che, del papa, era la creatura, giurando che non si sarebbe mai riposato sino a quando non avesse lanciato una nuova crociata contro di loro”. Bernardo di Chiaravalle, il più grande oratore sacro del Medioevo, per la sua eloquenza infiammata di misticismo ascetico, fu per la seconda Crociata quello che, per la prima, era stato Pietro l’Eremita; solo che, mentre la prima Crociata si concluse con la conquista di Gerusalemme, la seconda Crociata fini in un umiliante, disastroso insuccesso.
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