La scuola poetica siciliana
Sicilia medievale, pp. 523-524
Nel campo delle scienze e delle lettere, Federico II si circondò di filosofi e scienziati ebrei e musulmani. Promosse ricerche scientifiche, raccolse libri rari e strumenti di scienza; scrisse un trattato sulla natura e sugli uccelli; predilesse l'astronomia e la matematica, la medicina e la filosofia (1). Presso la sua corte, poeti e cantori composero poesie e canzoni in volgare siciliano, che servivano per la recitazione più che per la lettura, (...) che dettero vita a quella che poi venne chiamata scuola poetica siciliana: una accademia aulica e cortigiana dove si riunivano poeti, rimatori e musici. La corte di Palermo - dove si adunavano i più colti spiriti del tempo - divenne centro di intensa vita intellettuale e culla della prima poesia italiana. Seguendo l'esempio dell'imperatore, i funzionari della corte divisero il loro tempo tra gli affari dello Stato e la poetica amorosa, sulla scia provenzale. 

La poesia aulica siciliana ha fatto pensare che gli autori - e lo stesso Federico - scrivessero in dialetto. Questa scuola fu il crogiolo in cui si formò ed assunse dignità il nuovo volgare italiano. A notarlo, tra i primi, fu Dante Alighieri, che denominò "siciliana" quella scuola poetica e ne sottolineò la significativa importanza e la innegabile eleganza nel “De vulgari eloquentia” (2):
“Consideriamo il volgare siciliano, giacché sembra che esso avanzi gli altri di gloria, e perché troviamo moltissimi dottori indigeni che hanno gravemente cantato. Questa fama della terra siciliana, se scrutiamo bene dove tende, sì pare rimasta solo a vergogna dei signori italiani, i quali, con usanza non eroica, ma plebea, seguon superbia. Avvegnaché gli illustri eroi Federico imperatore e Manfredi, suo benegenito, dimostrando la nobiltà e rettitudine della loro natura, seguirono consuetudini umane, disdegnosi delle brutali. Onde i nobili di cuore e dotati di pregi si studiavano d'attaccarsi alla maestà di così grandi prìncipi: di guisa che al tempo loro qualunque cosa i migliori fra gli italiani producevano, primieramente compariva alla corte di sì grandi sovrani; e perché il soglio regale era in Sicilia, ne venne che quanto in volgare i nostri predecessori divulgarono, si dicesse siciliano: ciò che ritenevamo noi pure, né i posteri varranno a mutarlo”.


(1) - N. de Jamsilla: Historia, p.496
(2) - Dante: De vulgari eloquentia, cap.I, 12. L'opinione di Dante fu condivisa da Francesco Petrarca: "In breve tempo, il modo di poetare, rinato in Sicilia, si espanse in Italia e anche più lontano".
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